giovedì 30 gennaio 2014

Conclusioni di fine corso

23 gennaio 2014 ultima lezione di Marketing strategico dove propongo le mie conclusioni finali sul corso tenuto dal docente Corrado Corradini presso la Libera accademia di belle arti-LABA di Torbole




In questo post propongo una visione personale sul Marketing strategico toccando gli argomenti che nelle lezioni mi hanno stimolato e interessato maggiormente.
La prima cosa che il Marketing strategico insegna è avere una vision chiara. La vision è fondamentale per perseguire un obbiettivo, l'ho scritta nel mio primo post e questo mi ha aiutato a chiarirmi le idee e soprattutto a prendere coscienza sulla strada da percorrere per raggiungerlo. Ho sempre pensato che perseguire un obbiettivo richiedesse sforzi e sacrifici invece da questo corso mi sono convinta che se tutto è ben pianificato ed organizzato la meta sarà raggiungibile senza fatica. Ma tutto sta, ritornando alla vision, al chiaro obbiettivo che abbiamo nella testa, la confusione o meglio l'indecisione non sono buoni alleati del Marketing strategico. Ma essendo esseri umani, capiterà sicuramente di avere dei momenti di indecisione e scoraggiamento. Fare una semplice analisi Swot anche sulla carta di un vecchio scontrino, aiuta a chiarirsi le idee o almeno individua i punti negativi e le minacce che ci stanno bloccando la strada e come riuscire a superarle resta a noi con un buon piano organizzativo. Anche per le aziende definire l'area strategica d'affari è fondamentale per il loro successo sul mercato e applicando le matrici Boston, General Eletric e Ansoff l'obbiettivo sarà a breve, a portata di mano. Un altro aspetto di queste lezioni che mi ha particolarmente fatto ragionare è il mondo dei brand. La nostra società offre la scelta semplicemente tra un brand e un altro, tutto gioca intorno a quei valori che questi brand creano nella nostra mente. Siamo bombardati da immagini e spot pubblicitari che alla fine senza neanche pensarci acquistiamo solo quello che ci propongono. Adesso guardo con più attenzione le pubblicità che scorrono alla tv, e quando mi capitano in mano i prodotti che ho in casa cerco di capire se il frutto del loro acquisto sia l'efficacia della loro Usp. Tutto questo mi ha fatto riflettere sul rapporto che noi abbiamo con gli oggetti che acquistiamo, hanno per noi dei valori, sono qualcosa che desideriamo e nello stesso tempo sono scontati poco dopo il loro acquisto e volerne acquistare altri è tutto frutto del buon marketing che le aziende fanno sopratutto attraverso la pubblicità, i pay off e la Usp dei loro prodotti che ci entrano nella mente, spesso diventando dei miti.

domenica 19 gennaio 2014

Marketing strategico: Il Posizionamento

16 gennaio 2014 nona lezione di Marketing strategico sul Posizionamento a cura del docente Corrado Corradini presso la Libera accademia di belle arti-LABA di Torbole.



Il posizionamento è una strategia fondante del Marketing strategico mirata a collocare un prodotto nella mente del consumatore. La sua teorizzazione risale al 1968 da Al Ries e Jack Trout nel saggio “The Positioning Era Cometh”.
Il posizionamento si basa sul concetto di attratività ossia sulla creazione di un'immagine precisa nella mente del consumatore, collegata a un insieme di valori che attraverso la percezione verranno immediatamente associati a un prodotto, a un brand o ad una azienda. Il posizionamento crea la reputazione di un prodotto, di un'azienda o brand, valorizzandone i caratteri distintivi e quest'ultima aumenta, se evidenziati i suoi punti di forza o quel "qualcosa in più". Molto spesso questo surplus non è reale, perchè il consumatore è spinto da un impulso emotivo che lo porta ad agire irrazionalmente al momento dell'acquisto, per questo molto spesso scegliamo un brand perchè è bello e per nessun altro motivo. Quest'azione impulsiva è generata dagli influencer, ossia chiunque orienti la propria opinione verso determinati valori in direzione di un audience, o target di riferimento generale. I 'media' e il 'web' sono potenti influencer perchè indirizzano i valori associati ad un prodotto verso un target preciso, che ne garantisce l'efficacia di vendita
Non sempre un prodotto risponde al soddisfacimento di un desiderio ma spesso il bisogno di averlo ci viene indotto.
Tutto il lavoro degli Influencer arriva a definire un target identitario composto da chi sposa un prodotto, un luogo o brand e la loro reputazione, attraverso la qualità percepita. Questo step fidelizza il consumatore portandolo alla scelta e all'acquisto di un brand rispetto ad un altro. I valori generati dall'oggetto e i valori da noi percepiti ci inducono a scegliere un prodotto rispetto ad un altro e tale scelta rispecchia sempre i nostri valori come singoli individui.
Un esempio di posizionamento è l'investimento di Audi per lo sviluppo e ricerca, negli ultimi anni che l'ha pian piano risollevata dalla sua reputazione del passato di ''saponetta'' e che la vedeva perdente per esempio rispetto ad Alfa Romeo. Oggi Audi è in tutti i film d'azione proprio perchè vuole imporsi come macchina sportiva migliore al mondo ed in questo modo è l'Audi stessa l' influencer su un audience che siamo noi, possibili acquirenti del marchio Audi.
Lo schema sopra riportato non è mai fisso ma variabile nel tempo.

domenica 12 gennaio 2014

Marketing immaginativo: la Unique Selling Proposition

9 gennaio 2014 ottava lezione sul Marketing immaginativo dedicata alla Unique selling proposition a cura del docente Corrado Corradini presso la Libera accademia di belle arti-LABA di Torbole



La Unique selling proposition o USP è il tratto distintivo originale dell'azienda o del prodotto.

Il termine fu coniato da Rosses Reeves il quale sosteneva che per vendere bisognava essere semplici, chiari e incisivi. A lui si attribuisce, dal 1960 l'inizio del marketing moderno.
La USP è una frase, un suono o un'immagine a primo impatto molto simile al pay-off di un'azienda ma in realtà i due concetti sono differenti. Il pay off riguarda il brand, la vision aziendale e la memoria visiva, ci porta quindi a ricordare un marchio rispetto ad un altro, un esempio è “Just Do It” della Nike. La Unique selling proposition invece partendo dal comune obbiettivo del pay-off, riguardante la memoria visiva ossia il posizionamento preciso nella mente del consumatore,si distingue per il suo intento, quello di indurci all'acquisto immediato di un prodotto, facendocelo prediligere rispetto alla concorrenza e rendendolo inimitabile. L'unicità e l'irrepetibilità devono essere quindi i tratti distintivi della unique selling proposition.
La USP di un'azienda sarà in linea con il suo pay-off se quest'ultimo viene sostenuto da una chiara è definita vision. Uno dei casi più riusciti è per esempio "Enjoy" di Coca Cola. Con il suo “Gusta” ci induce sia a ricordarla nella mente sia ad acquistarla per il benessere che il messaggio ci comunica.

Possiamo quindi racchiudere la Unique selling proposition in tre concetti chiave:

> La frase deve trasmette un'immagine chiara al fruitore, riassunta in parole suoni o immagini. Il messaggio che viene trasmesso deve evidenziare il beneficio specifico nell'acquisto di un prodotto.
> La proposta deve essere unica e non replicabile. L'essere unica e inimitabile si estende sia alla marca che al prodotto.
> L'obbiettivo del messaggio è quello di generare un forte impulso all'acquisto da parte del consumatore e di essere così attrattivo da far muovere le masse.

La Unique Selling Proposition è usata dalle prime 500 aziende globali che rappresentano, attualmente, il 70% del mercato globale. 

Tra le aziende, rispetto al passato, si è generata una competizione sulla USP. Il più efficace porterà ai vertici l'azienda in quanto riuscirà a fare del cliente un fedele consumatore di quel prodotto specifico e a renderlo nel contempo insoddisfatto dei prodotti della concorrenza. La USP è quindi uno strumento primario per il posizionamento del prodotto nella mente del consumatore creando con quest'ultimo un rapporto duraturo nel tempo e per la sua differenziazione rispetto agli altri prodotti sul mercato. Un esempio è il caso Gilette che negli anni ha migliorato costantemente i suoi prodotti mantenendo il loro concetto di unicità che da allora come oggi li differenzia sul mercato.

La Unique selling proposition è una sorta di trasmettitore di mito, tanto che la sua efficacia non solo permette che il messaggio si imprima nella testa del consumatore, ma anche che quest'ultimo lo tramandi alle generazioni avvenire proprio come un mito, come qualcosa che vale la pena tramandare. La USP spinge a prendere una decisione al momento dell'acquisto attivando i quattro ambiti mentali dell' intuito, pensiero razionale, sentimento e percezione istintiva come studia in maniera approfondita il Mind Marketing.

Questi sono alcuni esempi di Unique selling proposition chiari, che invitano all'acquisto determinando un rapporto duraturo nel tempo con il consumatore. Io li ho scelti guardando i prodotti a cui siamo ''affezionati'' da anni a casa mia e in effetti la loro USP si è rivelata convincente e deduco che sia il motivo che ci ha portato ad acquistarli. Provate anche voi se il risultato è lo stesso.





venerdì 10 gennaio 2014

"Pollock e gli Irascibili"

Considerazione sulla mostra "Pollock e gli Irascibili" presente fino al 16 febbraio a Palazzo Reale, Milano 



La mostra ha presentato ai visitatori il panorama artistico che negli anni '50 vedeva come protagonista la città di New York. Questo nuovo centro di riferimento artistico racchiude una profonda rottura con la tradizione, portata avanti dai giovani artisti americani che all'epoca si stavano affermando. 
La radicale trasformazione dell'arte passata è determinata da un abbandono della figuratività per dare spazio alla libertà del segno pittorico dell'artista e il rapporto che questo ha con la tela stessa, spesso di grandi dimensioni. Il contesto storico è fondamentale per capire l'arte del periodo, siamo alla fine della seconda mondiale, il mondo ha visto davanti a sé morte e distruzione e gli artisti allo stesso modo, forse con una sensibilità in più, vivono questo tragico momento. C'è un profondo desiderio di cose nuove e di dare una scossa a quel ''ritorno all'ordine'' che gli artisti ritenevano colpevole della grande guerra ed è così che si sviluppa l'Espressionismo astratto. I due rami di questo nuovo movimento americano sono l'Action Painting che vede come maggior esponente Jackson Pollock e la gestualità del segno pittorico e il filone del Color Field, diversamente caratterizzato da una meditata distribuzione del colore sulla tela generando, con questa tecnica, un quadro meditativo che vive grazie alla interazione tra fruitore e artista. Uno dei maggiori esponenti del color Field è Marc Rothko, che abbiamo ammirato nel percorso conclusivo della mostra. Ma non solo, il gruppo degli Irascibili, così chiamati dopo essere stati esclusi da una mostra organizzata nel Metropolitan Museum Art di New York del 1950, comprende tra gli altri Willem de Kooning, Franz Kline, Arshile Gorky, Robert Motherwell, Clyfford Still, dalla moglie di Pollock, Lee Krasner .
L'ambiente proposto a Palazzo reale, con la sua luce soffusa e le pareti nere ti portava a porre la giusta attenzione sugli artisti presenti e meditare sul loro operato. Il dipinto che mi ha colpito di più e forse il fulcro della mostra è stato il Number 27 del 1950 di Jackson Pollock. Guardarlo da vicino è di grande impatto, soprattutto pensando alla tecnica usata, quella del dripping, ci si può immaginare l'artista all'opera. Camminando intorno alla tela fa colare questi colori che si sovrappongono, come a strati uno sull'altro. L'effetto del grigio metallico conferisce un maggior peso all'opera e cattura maggiormente l'attenzione. Proseguendo, nella sala adiacente, la visione del filmato a testa in su, di Pollock all'azione, è stata oltre che rilassante, suggestiva. Alzando lo sguardo si poteva leggere una frase molto bella dell'artista, che è sostanzialmente la traduzione in parole di quello che appena un attimo prima abbiamo visto nel filmato. La frase diceva : “ Non dipingo sul cavalletto (…) sul pavimento mi trovo più a mio agio. Mi sento più vicino al dipinto, quasi come fossi parte di lui,  in questo modo posso camminarci attorno, lavorarci da tutti e quattro i lati ed essere letteralmente dentro al dipinto. (…)” 
Molti altri artisti si susseguono a Pollock, ognuno con uno stile diverso, ma con un esperienza forte di vita che li accomuna, sopratutto per la guerra vissuta. Diciamo che ognuno porta la sua esperienza e la fine tragica che accomuna la maggior parte di questi artisti sta secondo me nella loro natura stessa dell' artista visto come figura sensibile e fragile. Un artista vede le cose con un occhio diverso dagli altri e riesce a trasmettere il suo dramma interiore. 
Prendiamo Willhelm de Kooning presente nelle sale successive a Pollock. Lui ci presenta una donna aggressiva del dopoguerra o Kline ci presenta la contraddizione della vita metropolitana attraverso forti e violente contrapposizioni di bianco e nero.
L'altro artista che mi ha colpito molto, e purtroppo c'erano solo due delle sue opere è Marc Rothko. Mi aveva affascinato già a lezione ma vedere le sue grandi opere davanti è stato sicuramente stimolante. Ho voluto sedermi difronte ai suoi quadri per fare come lui voleva, cioè fermarsi e riflettere. I colori erano caldi ma la stesura aveva un non so che di inquietante, forse perchè ricordavo la forma rettangolare generata dal colore richiamare la tomba ebraica. Apprezzo molto questo artista e soprattutto la coerenza tra l'obbiettivo della sua arte e le scelte nella vita. Come rinunciare all'incarico dei dipinti per la sala del Four Seasons al Seagram Building a New York. Avrebbe potuto forse dare una svolta alla sua vita ma il suo concetto di arte non era degno dei ricchi che avrebbero seduto al tavolo di questo ristorante. 
Insomma nel complesso la mostra è stata molto stimolante e sicuramente vedere con i propri occhi ciò che si studia sui libri ti fa riflettere maggiormente. Soprattutto si parlava della grandezza dei dipinti, poi quando li vedi dal vivo ti rendi veramente conto di quanto siano grandi e dell'intensità dei colori e delle forme.
Peccato fosse poco presente Pollock ma osservare i lavori degli Irascibili ti dà un ampia visione dell'arte del periodo e cosa era cambiato negli animi delle persone.

"IL BUON DESIGN" di Dieter Rams

"Less but better" di Dieter Rams entra a pieno titolo nel design di oggi




Dieter Rams, nato a Wiesbaden, Germania, il 20 maggio1932 è uno dei più influenti product designer della fine del XX secolo. Rams ha studiato e lavorato come architetto per alcuni anni fino a quando si è unito alla Braun, azienda tedesca che produce elettrodomestici di consumo. Nel 1961 è diventato il direttore del dipartimento di design, una posizione che ha tenuto per quasi 35 anni sviluppando e mantenendo un linguaggio visivo elegante, leggibile e rigoroso.
E' caratterizzante la sua frase memorabile ''Less but better'' traducibile in "Meno, ma meglio" che racchiude l'essenza del suo lungo lavoro come designer.  A tal proposito in un intervista di Alessandro Mendini, pubblicata su Domus nell'aprile 1984 Rams dice: 

"ll principio importante, per me, nella progettazione è: togliere il non-essenziale per metter l'essenziale in evidenza. Buon design per me significa: meno design possibile"

e ancora

"La produzione di massa dovrà trasformarsi in produzione di qualità. Il contributo del designer sarà importantissimo. Dovremo riuscire a rendere i prodotti più facilmente comprensibili – farli parlare, per così dire, con i mezzi del design. La qualità del design richiede esperienza, bravura, tenacia, diligenza e creatività (...)"

Il suo lavoro non cerca di essere al centro dell'attenzione, anzi permette di diventare parte dell'ambiente in cui si trova attraverso la precisione e l'ordine.





All'inizio degli anni '80 dietro la scrivania del suo studio Dieter Rams si domandò: “Is my design good design?”, la domanda che tutti i designer nel corso del loro lavoro progettuale si domandano e con il quale spesso combattono. Da quella domanda nascono i 10 principi del ''buon design'' per il quale Rams è particolarmente noto e che sopratutto l'hanno portato a sviluppare prodotti industriali di massa utilizzati quotidianamente da milioni e milioni di persone e sui quali vale la pena soffermarsi.

Il buon design è...

1.Good design is innovative – Un buon design è innovativo
Non copia le forme di prodotti esistenti, non produce novità per il solo scopo di farlo. L’essenza dell’innovazione deve essere chiaramente visibile in tutte le funzioni di un prodotto (o progetto). Entro questi limiti le possibilità sono infinite. Lo sviluppo tecnologico offre continuamente soluzioni innovative.

2. Good design makes a product useful – Un buon design rende utile il prodotto
Un prodotto viene acquistato per essere utilizzato. Deve servire per un determinato proposito, sia nella sua funzione primaria che in quelle secondarie. Il principale obiettivo del design è di ottimizzare l’utilità di un prodotto.

3. Good design is aesthetic – Un buon design è esteticamente attraente
La qualità estetica di un prodotto ed il fascino che sprigiona è parte integrante della sua utilità perchè i prodotti vengono utilizzati ogni giorno e devono avere un effetto sulle persone e sul loro benessere.

4. Good design makes a product understandable – Un buon design aiuta la comprensibilità di un prodotto
Chiarifica la struttura dell’oggetto. Ancora meglio, può “far parlare” il prodotto. Quando il design è ben studiato è in grado di spiegare da solo il funzionamento dell’oggetto, risparmiando tempo ed impegno all’utente finale.

5. Good design is unobtrusive – Un buon design non è intrusivo
I prodotti che soddisfano questo criterio vengono comunemente definiti “strumenti”. Non sono né oggetti decorativi né pezzi d’arte. Il loro design deve perciò essere neutrale e lasciar spazio all’utilizzatore di esprimere se stesso.

6. Good design is honest – Un buon design è onesto
Un oggetto progettato onestamente non promette qualità o caratteristiche che non possiede. Non deve influenzare o manipolare gli acquirenti e gli utilizzatori.

7. Good design is long-lasting – Un buon design dura nel tempo
Evita di essere alla moda, non apparendo,perciò, mai vecchio.

8. Good design is through down to the last detail – Un buon design si riconosce anche nei piccoli dettagli
Nulla deve essere arbitrario o lasciato al caso.

9. Good design is environmentally-friendly – Un buon design si preoccupa dell’ambiente
Il design deve contribuire al benessere dell’ambiente e delle sue materie prime, evitando l'inquinamento fisico, per esempio utilizzando materiali della zona e quello visivo per tutto il ciclo di vita del prodotto.

10. Good design is as little design as possible – Un buon design è invisibile
Ritorniamo alla purezza, ritorniamo alla semplicità.


Questi dieci punti sono una buona guida per la professione del designer e soprattutto attuali e in linea con l'essenzialità e l'intuitività che oggi si richiede al design. A tal proposito è nota l'influenza del design di Rams nei lavori di Jonathan Ive, designer per Apple, in prodotti come l'iMac, l'iPod, e l'iPhone. Ad esempio l'applicazione calcolatrice dell'iPhone è basata sullo stile della Braun ET66 disegnata da Rams.